Non sono mai contento di me stesso.
Tendo sempre a dubitare delle mie capacità e a giudicare il mio operato fin troppo cinicamente. Nella testa sempre quel tarlo fisso di saper e poter dare di più. Guardo me e gli altri, cerco di trarre ispirazione da ogni cosa…ma in particolare da chi mi provoca quel BANG in testa, quella sensazione che mi fa restare a bocca/mente aperta e dire “ma io che c***o ho fatto fin ora?”…così, dal nulla (ultimo in ordine di tempo: Ellion Erwitt).
Mi son / vien chiesto molte volte: perché non trasformare in oro ciò che mi piace, dando vita a un qualcosa che possa dare soddisfazioni anche alle finanze (oltre che all’ego)? Non so perché non riesca…mille risposte, alcune note: la naturale paura dei salti nel buio; una discreta dose di faccia tosta, che non ho; probabilmente…sicuramente, mi sento incompleto. Avverto in me delle gravi lacune e il bisogno di doverle colmare, attraverso la ricerca continua: ore “buttate” davanti a libri, corsi [ndr: è da un pò che non scrivevi, vero Ditti?], monitor, Google (fraterno amico) e altri strumenti didattici.
Come son critico verso me stesso, lo sono anche verso ciò che vedo ogni giorno.
[pausa Magnum pistacchio]

Reggio, come molti posti della bell’Italia, è una città che insegue le mode. Tende a farle sue, ne abusa, e (dopo infinite sevizie) le getta fra i rifiuti…nell’indifferenza più totale del regginomedio che, nel frattempo, ha già virato verso nuove mode. Se ne son viste di tutti i tipi: allenatori da poltrona, avvocati da aperitivo, nutrizionisti da palestra, musicisti sfornanti tributi come se fossero pizze [ndr: manca solo la cover dei Gemboy e le ho sentite davvero tutte]…alcune mode passano, altre perdurano, e fra queste righe mi concedo un’analisi del fenomeno del momento: l’impennata del numero di reflex on-the-road. Son diventati tutti fotografi, porca pupazza!
Impazzano i corsi, impazzano le instagrammate, impazzano gli scatti fèscion, impazzano le pagine fan su Facebook, impazzano i “mi piace”…fin qui tutto nella norma: sono il primo ad ammettere di aver acquistato una reflex e, nel giro delle prime settimane, essermi sentito il nuovo Ansel Adams nel mostrare i miei scatti. Chi non ha mai vissuto tali piacevoli sensazioni di esaltazione…scagli la prima pietra lente! :)
In un naturale percorso di crescita artistica, questa fase ha vita relativamente breve; in un secondo si arriva al top, ma un attimo dopo ci si rende conto di essere zero (per ricollegarmi alla prefazione)…come alla prima cotta, come al primo esame, come alla prima paghetta. Mi hanno detto, ridetto e ribadito fino alla nausea: “non innamoratevi delle vostre foto”. Quanta verità.
In un attuale scorcio di realtà, ovvero un percorso di sviluppo ai tempi di Facebook, invece, pare basti molto meno. Un logo, che sia testuale grazie al limitato fontfolio di Windows…oppure stilizzato e [apparentemente] fighissimo, grazie all’aiuto dell’amico o parente che c’ha il Mec o il cuggino grafico. Uno o più social network, dai quale partire verso la conquista del consenso popolare, dei numeri e della visibilità. Mettiamoci pure qualche amico/a che si mette a disposizione per l’obiettivo, nonni/zii/parenti vari cheppagano il corredo, e la frittata è fatta: siamo dentro! Sentiamoci autorizzati a creare una pagina, dal titolo generico Nome Cognome / Pseudonimo -spazio- Photography / Photographer / Photo -spazio- Aforisma fighissimo [rigorosamente in lingua straniera], condita da frasi e slogan ad effetto…e lanciamoci, come in un burrone, nel mare dei servizi a terzi.
Fior di battesimi, diciottesimi, book (quanti…quanti?), se non matrimoni. Tutto gratis, o a prezzi da patatine (millemila foto a dù euri e se paghi tutto subito ti regaliamo anche gadget, inviti, cartelloni e dù fette di culo), giusto per ravvivare un pò la concorrenza sleale il mercato. Chissenefrega dei materiali, tanto ormai fanno pure gli organi in Cina…
E le basi? E la qualità? E gli studi? E l’autocritica? Il problema è proprio questo: la concezione di sè stessi. Mancanza d’umiltà, amore esasperato per le creazioni del proprio ingegno, ignoranza pura e cruda o (ancor peggio) una qualsiasi combinazione delle tre, son tutti elementi che possono portare chi sta dietro l’obiettivo ad un progressivo distacco dalla realtà. I risultati? Scatti di basso, bassissimo livello…spesso ulteriormente deturpati in fase di sviluppo e post-produzione (utilizzata senza logica e secondo i dettami del tentativo a caso). Esempi tipici:
- Disagio di base nella composizione e nel ragionamento dello scatto, con la convizione di “croppare e passa la paura”;
- Errori nella messa a fuoco (soggetto leggermente sfuocato / sfondo a fuoco), spesso accompagnati da tentativi di recupero mediante maschere di contrasto / chiarezza;
- Gestione delle luci discutibile in fase di scatto, conseguente presenza di ombre anomale che vengono ulteriormente messe in risalto da pacchiane “spennellate di luce”;
- Utilizzo esagerato di tecniche (a dire il vero un pò datate) quali sfocature parziali / effetto flou, o desaturazioni parziali;
- Gamma dinamica totalmente piatta, ancor più nei BN (che diventano più grigio 40/60);
- Effetto Kirlian (aura) involontario e immagini dalla gamma innaturale, dovuta ad interventi HDR posticci ed esasperati;
- Vignettatura artificiosa e invadente, o ancor peggio colorata;
- Volgarità nella scelta delle inquadrature, delle pose o dell’abbigliamento, nel caso di book / fashion / servizi di ritrattistica in generale;
- Dubbio gusto e/o insufficiente abilità nella realizzazione di fusioni / fotomontaggi fra più scatti;
- Ripetitività nelle sequenze degli scatti, sintomo di incapacità nella scrematura del proprio lavoro.
Mi fermo qui con gli esempi, anche se potrei andare avanti fino a dopodomani.
Il succo è: signori, non bastano le reflex e non basta il crack di Photoshop. Qua bisogna STU-DIA-RE e fare tanta, ma tanta autocritica. Finché è il ragazzino inesperto a fare determinati errori, va benissimo…sono necessari, e determinanti alla relativa crescita artistica. Ma nel momento in cui si vuol giocare a fare i professionisti, certe cose non devono e non possono essere tollerate. Period.
La professionalità non si acquisisce in automatico aprendo una Partita IVA o uno studio fotografico: prima bisogna essere professionisti nell’animo, nel rispetto della propria persona e della clientela a cui ci si rivolgerà. Bisogna rispettare le proprie ambizioni, assecondare quel desiderio innato di crescita che un creativo non può non possedere…aggiornamenti, studi, workshop, confronto con terzi, ricerca dell’errore ed autocritica sono fondamentali per non ritrovarsi inghiottiti dal mercato. La pubblicità vera è quella portata dalla qualità: la qualità del lavoro ha come conseguenza diretta sia la qualità della clientela, sia lo stimolo e la crescità dei margini di potenziale guadagno. La qualità della clientela non si sceglie, si conquista a suon di applausi.
Poi c’è un’altra strada, la quantità…e beh, lì tutto cambia. Il cliente si può guadagnare anche col passaparola dell’amico. Oppure con i servizi mirati ad un certo target…vedi serate nei locali, da usare come trampolino di lancio per tipologie di lavoro più remunerative (complenni, diciottesimi o addirittura matrimoni) ed ampliare il proprio raggio d’azione.
O ancora…con i Like su Facebook, ovvero la forma suprema e più immediata di consenso
populista popolare oggi a disposizione dei wannabe qualsiasicosa. Dove c’è like, c’è casa; dove fioccano i like, c’è soddisfazione; dove ci sono tanti like, c’è autostima che ridonda…e, spesso, fiducia nei propri mezzi che inizia ad andare ben oltre il lecito. Mettetevelo bene in testa: i Like non sono nè indice di qualità, nè un punto di arrivo! Purtroppo, c’è chi fa di queste tesi il proprio credo…risultando borioso, pieno di sè e poco incline alla critica costruttiva. Vale per la fotografia, la musica, la creatività e per tutte le forme d’arte: il gradimento del pubblico, spesso, ingabbia la sete di conoscenza. Sta all’intelligenza e alla maturità di chi viene investito dal consenso, riuscire ad apprezzarlo senza venirne sedotto.
Quel che vedo però, è ben altro. Vedo neonati depositati sui fiori o sulla luna piena; vedo diciottesimi diventare delle gustose fiabe pre-confezionate (ma non oltre il 30×40, sennò si vedono i pixel); vedo coppie di fidanzatini cinquantenni gettati in acqua, per essere wild&young; vedo spose abbandonate sugli armadi; vedo visi arancioni, abiti gialli e caviglie viola; vedo ecografie, radiografie e rettoscopie spacciate per book; vedo alieni che, prima dell’invenzione del grandangolo, erano esseri umani; vedo tramonti scattati a Scilla ed elaborati a Mordor; vedo ragazzine dal viso grazioso immortalate dal collo in giù; vedo trogloditi con migliaia di Euro al collo scattare in automatico; vedo novelli Mapplethorpe, maleducati e irrispettosi nei confronti di chi ha tanta gavetta alle spalle; vedo professionisti (e non) cullarsi sulla propria ignoranza, nascondendosi dietro le richieste pacchiane dei clienti [per carità, c’è chi apprezza tutto ciò…de gustibus, purché il target di clientela non diventi una scusa per non crescere]. E vedo sfilze di like, di apprezzamenti, di richieste d’amicizia, di concorsi…vedo tutto ruotare attorno a una costante: la mancanza di qualità (incontestabile, a differenza del gusto) e di onestà (nei confronti di sè stessi e dei potenziali clienti).
Vedo tutto ciò, e…scusate il francesismo, da aspirante creativo mi gira il cazzo.
Ai fautori di tutto ciò, per concludere, vorrei offrire uno spunto di riflessione: invece di minacciare, segnalare o denunciare chi condivide le vostre opere sulle pagine fotografiche di scherno dei vari social network…fatevi una domanda.
“Perché son finito lì?”
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