Quel sottile legame fra Facebook, pubblicità ed harakiri

Pensare a Facebook come al “mezzo di comunicazione più imponente e rivoluzionario degli ultimi dieci anni” non è un concetto molto lontano dalla realtà oggettiva. Nonostante le continue involuzioni evoluzioni dalla nascita ad oggi, nel corso degli anni la piattaforma ha saputo mantenere un’organizzazione a “diagramma di flusso” più o meno omogenea. Vi sono modi diversi di interagire fra/con l’utenza:

  • Profilo: spazio privato, personale.
  • Pagina: spazio pubblico, destinato alla promozione e ai fan di una qualsiasi attività.
  • Gruppo: spazio pubblico o semi-privato, riservato ad una cerchia di persone aventi un interesse/tema/occupazione in comune sul quale discutere.

Stando a ciò che vedo quotidianamente, sembra che buona parte degli utenti non abbia in mente questa naturale divisione. Esempi tipici: ho un locale, apro un profilo e mi pubblicizzo chiedendo l’amicizia ai clienti; svolgo un’attività, apro un gruppo, spiego cosa faccio e aggiungo tutti i miei n contatti, invitandoli a fare altrettanto con i loro n contatti…e così via. Pensato ciò almeno una volta nella vita? Bene, in ogni caso si tratta di un’idea infelice una gran cazzata.

Il profilo (recentemente aggiornato al diario) è pensato per gestire la quotidianità di una persona: aggiornamenti testuali/fotografici/video, condivisione di contenuti, uso di giochi e applicazioni, e un numero di contatti ristretto con i quali si presuppone la conoscenza. Perché è errato promuoversi mediante un profilo?

  • Etica: il profilo è rivolto alle singole persone fisiche. Non a gruppi, entità astratte o materiali. Come si fa ad essere amici con un locale, un’associazione, una band o un ufficio? Ci uscite regolarmente a bere una birra? Siamo seri.
  • Controproducenza: il profilo ha un limite di circa 5000 contatti, e una volta raggiunto questo limite, si è costretti alla creazione di profili “bis”, “tris”…con conseguente dispersione dei contenuti/utenti. Che senso ha farsi pubblicità mediante uno strumento di per se limitato?

I gruppi invece, sebbene abbiano raggiunto un’utilità ben definita solo da poco tempo a questa parte, rappresentano l’approccio social ai “vecchi” forum: servono quindi a radunare una cerchia di persone, per confrontarsi su argomenti di interesse comune o avere uno spazio riservato per delle comunità già esistenti (classi, gruppi di lavoro, clan, mercatini). Utilizzarli per advertising, paradossalmente, è ancora peggio che farlo mediante i profili…perché?

  • Mancanza di consenso: la principale pecca dei gruppi è quella di essere unilaterali. Se Tizio aggiunge Caio al suo gruppo X, Caio riceve una notifica recitante più o meno “Tizio ti ha appena invitato al gruppo X”…peccato che non si tratti di un invito vero e proprio, in quanto Caio non ha potere decisionale e si ritrova inserito nel gruppo senza dare alcun consenso: l’unica opzione a disposizione di Caio è quella di abbandonare successivamente il gruppo.
  • Controproducenza: apparentemente, lo scenario sopra descritto può risultare comodo, in quanto è possibile ottenere un numero spropositato di “fan” in pochissimo tempo. In realtà si tratta di un’arma a doppio taglio, in quanto l’utente diventa fan di riflesso e non per scelta: l’aggiunta unilaterale può essere sopportabile qualora l’episodio sia sporadico o il gruppo sia fondato da un amico…ma diventa parecchio fastidioso quando invece accade con costanza e/o ci si ritrova inconsapevolmente in gruppi con cui non si ha nulla a che spartire (tipo “amanti della fiorentina” per un vegano o uno juventino). Personalmente, capita spesso che debba fare “pulizia” fra i gruppi di cui faccio parte: solo nell’ultimo mese ne ho abbandonati almeno una decina, in quanto essi non erano decisamente di mio interesse.
  • Inadeguatezza: che il gruppo sia uno strumento di discussione, e non di promozione, è evidenziato anche dall’ordinamento dei contenuti. I post infatti non vengono ordinati in base alla data di stesura originale, come tutti gli altri contenuti del social, ma dinamicamente in base alla data dell’ultima interazione (commento o like). Che senso ha promuovere i propri prodotti, e ritrovarsi in cima al gruppo post vecchi di alcuni mesi/anni, a causa di commenti o “mi piace” recenti…magari di ignari utenti appena aggiunti?

Pensare che, onde incappare in certi errori, basterebbe dedicare un minimo di tempo e dedizione allo studio della struttura di Facebook (strumento dalle potenzialità seconde solo ad un coltellino svizzero). Perché non farlo quindi, evitando banali scuse tipo “non ho tempo” o “è complicato”? Preferire i gruppi o i profili alle pagine, oltre ad essere errato e andare contro i principi della netiquette (fondamentali per approcciarsi in rete), può sortire effetti boomerang molto pericolosi.

(oh cacchio, mi hanno appena invitato a un altro gruppo.)

Una risposta a “Quel sottile legame fra Facebook, pubblicità ed harakiri”

  1. Avatar Andrea Taglieri
    Andrea Taglieri

    Non potrei essere più d’accordo. Siamo nei tempi in cui tutto è alla portata di tutti, Facebook ne è l’esempio lampante. Purtroppo molto (troppo) spesso, dare uno strumento di una potenza simile in pasto al pubblico, espone gli utenti (e il sistema stesso) agli utilizzi più beceri e più stupidi soltanto perchè non si ha la voglia di approfondire… o semplicemente perchè “bon, l’importante è che il mio messaggio ci sia, poi se è fatto male sticazzi”.

    Questo comunque è uno dei tanti motivi per cui i professionisti (seri) si rivolgono ad altrettanti professionisti per pubblicizzare la propria immagine su Facebook (leggasi qualsiasi social network) proprio per differenziarsi da chi lo fa “accazzodicane”. Chi ritiene di poterlo fare da se, senza essere un tecnico o quantomeno un “esperto”, può ottenere solo pochi e controproducenti risultati. Il pubblicizzarsi sui social è un’attività tutt’altro che semplice e scontata.

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